L’Autonomia è associata alla responsabilità e non all’egoismo.
Accanto alla richiesta di riconoscere diritti sono affermati doveri di tenere insieme tutto il Paese, solidalmente tra le Regioni. La differenziazione dell’autonomia significa permettere alle Regioni – che possono – di occuparsi di materie in modo specifico, lasciando allo Stato il compito di dedicarsi di più ai territori che sono maggiormente in difficoltà. E se ha senso un regionalismo differenziato, non ha più senso l’autonomia speciale di alcune Regioni che mantengono privilegi obsoleti.
Massimo rispetto, per carità, per il voto di milioni di italiani di domenica scorsa, anche se le pulsioni particolariste che hanno alimentato quella partecipazione non hanno niente a che vedere con lo spazio offerto dalla Costituzione per riconoscere maggiori poteri alle Regioni. Si è discusso più del residuo fiscale che della qualità dell’autonomia reclamata. È stata, in definitiva, una grande iniziativa politico-prapagandistica pagata coi soldi pubblici, che ha avuto il solo merito di rimettere al centro del dibattito le riforme che mancano e di cui dal 4 dicembre scorso si erano perse le tracce. In effetti, siamo ancora lì. E sebbene taluni marchino quel momento come “aberrante”, tutto ciò che sta accadendo dimostra quale occasione abbiamo perso. A proposito di regionalismo differenziato, infatti, la riforma conteneva alcune soluzioni e ricercava nuovi equilibri tra Stato e Regioni.
Sull’art.116, ossia l’oggetto del referendum in Lombardia e Veneto, la Regione Toscana non deve imparare da nessuno. E’ stata la nostra Regione la prima ad applicare in modo robusto il decentramento amministrativo secondo il principio di sussidiarietà e la prima ad avanzare al governo (nel 2003) la richiesta di nuovi poteri su ambiente e beni culturali. Perché su queste materie siamo la locomotiva d’Italia, abbiamo gli strumenti, le risorse e le competenze per agire in proprio e perché saremmo in grado di offrire soluzioni più avanzate e specifiche oltre che di semplificare.
Dunque, non c’è solo la necessità di maggiore autonomia regionale, ma anche di riequilibrare la qualità e la quantità dell’autonomia già riconosciuta. Senza dimenticare che le regioni non sono gli enti che godono di tutta questa fiducia da parte degli italiani, come a dire che prima di meritarsi di più dovrebbero svolgere meglio i compiti che sono già loro assegnati, pena l’accusa di creare un nuovo centralismo. È il motivo lamentato dai sindaci toscani qualche settimana fa, da sempre abituati ad una forte spinta al decentramento, venuta meno con la riforma delle province. Occorre anche su questo aprire una nuova fase di relazioni tra i Comuni e la Regione Toscana basate sulla cooperazione istituzionale.
Per queste ragioni la risoluzione approvata lo scorso 13 settembre in Consiglio regionale contiene la richiesta alla giunta di approfondire seriamente il tema dell’autonomia e di riproporre in aula una discussione su questi temi per poi avanzare al governo una proposta precisa.